Cosmogonia portatile

L’arte contemporanea è viziata dal postmodernismo in base a un’operazione di maquillage che passa attraverso la rilettura delle forme. E’ l’esistente, nella sua tautologia oggettuale, a riflettersi in un’estetica che ammicca alla superficie. Si pattina sull’esteriorità delle cose andando alla ricerca di contenuti ben visibili, secondo un tracciato spesso facile da percorrere.
L’ermetismo di un tempo si va dissolvendo e l’indagine segue strade collaudate con qualche, forse prevedibile devianza. Il problema è la riconoscibilità di un’azione che ne decreti la permanenza.
Nicola Salvatore, la cui indagine affonda le radici negli anni settanta, ribalta il punto di vista partendo dalla riconoscibilità del soggetto per poi scompaginarlo. Nella sua opera tutto sembra apparentemente risolto dal momento che non c’è alcun dubbio sull’esibita ossessione del cetaceo, già di per sé un’anomalia di fronte a una vicenda dove il pesce buono non ha mai avuto particolari riconoscimenti. Certo, è andata meglio con la letteratura e persino con l’Antico Testamento ma l’arte contemporanea ha preferito cimentarsi con qualcosa di più cruento come gli ipermilionari squali in formaldeide di Damien Hirst soggetti ora a deterioramento.
Ma quella balena che da oltre 35 anni rappresenta un punto di riferimento per l’opera di Nicola Salvatore non si lascia catturare, né tantomeno ridurre a logo. “Si può dipingere ogni cosa, basta soltanto vederla. Di nuovo al mondo non c’è nulla o pochissimo, l’importante è la posizione diversa e nuova in cui un artista si trova a considerare o a vedere le cose della cosiddetta natura”, afferma Giorgio Morandi che per tutta la vita non ha fatto altro che dipingere bottiglie in modo magistrale.
Ebbene, per Nicola Salvatore la predominanza del prototipo sconfigge lo stereotipo linguistico in base a un principio iconografico dove la balena appare il significante intorno a cui sviluppare le infinite varianti del segno. Il soggetto, infatti, attua un cambiamento continuo e non viene congelato nella riconoscibilità della sua forma che per l’artista assume l’aspetto di un a priori.
Il fatto di considerare la matrice contenutistica come imprescindibile dato di partenza rende la realizzazione assai più libera in una continua sperimentazione scevra da ogni pregiudiziale.
L’immagine, del resto, non si guarda allo specchio, come avviene nel caso della pop art, ma gioca a nascondino con il proprio destino andando alla ricerca della sua radice nomadica, superando le contingenze.
La balena è essa stessa segno pur non perdendo le sue precipue caratteristiche in relazione ad una fisicità mai del tutto sopita. Il corpo o lo scheletro si riconoscono come elementi imprescindibili da cui si avvia la ricerca nelle sue infinite peregrinazioni che passa attraverso pittura, disegno, scultura, installazione, ricercato design e comune oggettistica nell’ambito di un sistema linguistico colto nella sua totalità, che non pone alcun tipo di limitazione progettuale o esecutiva. Fondamentalmente, il soggetto della rappresentazione e il segno creano una relazione sinergica, ricca di conseguenze sul piano mentale e visivo dove la pittura passa attraverso diversi stadi sottoponendosi a una lenticolare verifica naturalistica, alla prevalenza di una linea astratta o a un tracciato apparentemente infantile, vicino a un graffitismo quasi sussurrato. Ciò che conta è superare ogni forma di immobilismo sfidando il significato primario del segno che, intorno alla propria icona, fluttua senza temere la ripetizione. A pensarci bene la situazione non è molto diversa da quella impostata dall’artista nella sala 8 all’Accademia di Brera a Milano dove si svolgono le sue lezioni e si catalizza ogni tipo di linguaggio. In quel caso ha creato la Trattoria da Salvatore con una cucina attrezzata per pranzi succulenti dove l’arte stimola l’appetito e intorno al desco si ritrovano artisti, cuochi, intellettuali e scrittori, ciascuno con il proprio bagaglio culinario e non solo.
La ricerca di Nicola Salvatore prende le mosse da un’ipotesi relazionale basata sulla continua ibridazione del messaggio che conduce verso il superamento delle barriere: come la Trattoria da Salvatore merita di essere considerata il luogo della partecipazione e del confronto, così le sue opere vanno al di là del visibile determinando il coinvolgimento di differenti tracciati segnici in base a un contesto precario che si sviluppa sempre al limite del paradosso e dell’ironia.
L’artista dà vita a una cosmogonia articolata che assorbe mitologia, archeologia, zoologia, scienza e matematica in uno scambio continuo degli elementi che prevede la simulazione e l’apparenza.
Una sorta di Piccola Cosmogonia portatile come quella che pubblicò Raymond Queneau nel 1950 e che tanto piacque a Italo Calvino per la capacità di rimettere in discussione le regole dell’universo seguendo in maniera filologica il modello del De rerum natura di Lucrezio. Fondamentalmente, dietro al rassicurante mammifero, Nicola Salvatore compie una mirata operazione di sabotaggio rivelando la sua disillusione di fronte a ogni principio razionalistico.
Quelli che crea sono processi di verità apparente che pongono in discussione ogni forma di dogma e aprono il campo a infiniti turbamenti linguistici. Tutto si sviluppa nell’incertezza del risultato in base a una metodologia che simula l’assoluto secondo criteri parascientifici e persino patafisici.
Basti pensare a quei fantomatici Diari di bordo disposti sin dalla metà degli anni settanta, improbabili cronache concettuali sui colori da applicare alle balene che strizzano l’occhio a Sol LeWitt o a quelle lunghe quanto inutili classificazioni di cetacei ridotti in piccole sagome di alluminio ritagliate che riecheggiano le tavole matematiche. Non ci sono tesi da verificare nell’opera di Nicola Salvatore disposta attraverso infiniti stratagemmi in base ad uno sviluppo orizzontale dove il segno insegue il suo destino senza mai privarsi della sottile seduzione della forma che rimane intatta per oltre tre decenni non correndo mai il rischio di essere dissolta o deturpata: “Non posso uccidere la balena. L’unico rischio che corre è la cannibalizzazione e di recente ho realizzato dei coltelli-balena che s’infilano nei corpi di altre balene”, mi confessa Nicola Salvatore nella sua poetica, ironica visionarietà.
Sono, comunque, le tracce della pittura e della scultura a insinuarsi nel cetaceo incagliato che ogni volta tenta di riconquistare la propria posizione secondo un percorso circolare dove l’arte non si lascia arpionare.
Talvolta è la forma, nella sua perfezione minimalista, a essere scossa dalla presenza invadente e provocatoria dell’animale che può entrare in una sfera di alluminio senza più uscirne (Balena, 2001) o, con il suo corpo piegato, fare da guardiano a un totem in ferro che non avrebbe bisogno di null’altro per proiettare all’esterno la dimensione metafisica e ultraterrena (Kerala, 2004).
Chi cerca facili rassicurazioni stia alla larga dalle opere di Nicola Salvatore che incrina il sistema da pericoloso hacker operando sulla falsificazione costante del messaggio seguendo un percorso dove, prima di lui, s’incontrano Pino Pascali e Gino De Dominicis. Le sculture finte di Pascali che, guarda caso, utilizzava i cetacei a simulare la preistoria, non sono gli antenati delle sue balene? E non emerge qualche inaspettata analogia con la colossale creatura antropomorfa sconosciuta ai terrestri che caratterizza la sorprendente Calamita cosmica di De Dominicis? Ovunque si osservi, le tracce lasciate dai fossili creati da Nicola Salvatore sono effimere in una costante quanto assurda pantomima dove l’artista crea inquietanti simulazioni fatte di scheletri e di vertebre in un gioco di apparenze che non lascia posto alla malinconia o alla memoria ancestrale.
La teatralizzazione è perfetta nella continua esibizione di un meta-segno che non ricerca facili consensi.
Persino un vero e proprio omaggio a Joseph Beuys come le lavagne hanno perduto la loro matrice utopica e ideale. Se il maestro tedesco consentiva, democraticamente, che i suoi progetti realizzati col gesso venissero modificati dai suoi alunni durante le celebri discussioni, Nicola Salvatore crea tavole quadrettate o raffinate serigrafie su laminato con le balene incise. Allo spettatore è concesso solo il diritto di guardare e non di cancellare. A difendere la specie protette ci pensa l’artista.



Alberto Fiz